Quando hanno ottenuto il diritto al voto e quando hanno votato per la prima volta le donne in Italia? Ecco la storia del Suffragio Femminile in Italia.
Il Suffragio Femminile fonda le sue radici nei primi anni dell’Ottocento, sia per il voto amministrativo che per il voto politico. Ecco cosa è successo dall’800 fino a quando le donne ottengono il Diritto di Voto in Italia, il 30 gennaio del 1945.
Suffragette: le donne che hanno conquistato il diritto al voto
La conquista del diritto al voto delle donne appartiene a pochi decenni fa: dobbiamo questo traguardo importante alle cosiddette Suffragette, le donne appartenenti al movimento di emancipazione femminile nato per ottenere il diritto di voto per le donne (dalla parola suffragio nel suo significato di voto).
Quando oggi sentiamo parlare di “Suffragette” ci riferiamo, più in generale, alle donne che lottano o si adoperano per ottenere il riconoscimento della piena dignità delle donne.
Le prime Suffragette nacquero in Francia verso la fine del ‘700, seguite dalle inglesi nell’800, che lottarono duramente per rivendicare i loro diritti, al pari degli uomini.
Già nel 1832, in Gran Bretagna, è concesso il suffragio femminile, anche se all’inizio solo nelle elezioni locali, mentre dal 2 luglio 1928 il diritto verrà esteso a tutte le donne inglesi. Il primo Paese a ottenere il suffragio universale è la Nuova Zelanda: tutte le donne della nazione sono chiamate al voto (già) dal 1893.
In Italia, la situazione fu rallentata dall’unificazione del 1861.
Il Suffragio Femminile in Italia
Nel 1919 le donne in Italia finalmente ottennero l’emancipazione giuridica. Papa Benedetto XV si pronunciò pubblicamente a favore del diritto di voto alle donne, influenzando l’opinione pubblica.
Alle prime organizzazioni femminili del ‘900, aderirono inizialmente le donne della borghesia, alle quali si affiancarono successivamente cattoliche e socialiste (ricordiamo tra queste Giuditta Brambilla, Carlotta Clerici e Anna Kuliscioff).
Tuttavia, l’avvento del fascismo congelò la questione: fu solo il 30 Gennaio 1945, quando l’Italia era ancora in guerra, che il Consiglio dei ministri dell’Italia Libera presieduto da Bonomi approvò il decreto legge Alcide De Gasperi-Togliatti, che prevedeva il diritto di voto esteso a tutti gli italiani che avessero 21 anni compiuti.
Rimasero escluse, fino al 1947, le prostitute “vaganti”, citate all’art. 3, ovvero le donne schedate che lavoravano al di fuori delle “case chiuse”.
Le donne votarono per la prima volta nel ’46
Le donne votarono, per la prima volta, nelle elezioni amministrative della primavera del 1946 nonché nel successivo referendum del 2 giugno, per l’elezione dell’Assemblea costituente e per il Referendum per la scelta tra monarchia e repubblica.
Il principio, stabilito dal decreto legge del 1945 e firmato dal Luogotenente generale del Regno Umberto di Savoia, venne ripreso successivamente dalla Carta costituzionale italiana, entrata in vigore nel 1948 dopo la conclusione della seconda guerra mondiale.
Il primo voto delle donne italiane senza rossetto
La mattina del 2 giugno il Corriere della Sera titola: “Senza rossetto nella cabina elettorale” con il quale invita le donne a presentarsi presso il seggio senza rossetto alle labbra.
La motivazione? “Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”.
Diritto al voto delle donne: il contributo della pedagogista Maria Montessori
APPELLO AL VOTO – Una delle figure più attive nel rivendicare il voto alle donne è stata la pedagogista Maria Montessori che nel 1906 scrive sulle colonne di “La Vita” un appello affinché le donne italiane si presentino ai seggi per votare:
“Donne tutte sorgete! Il vostro primo dovere in questo momento sociale è di chiedere il voto politico”.
Numerose donne (maestre, infermiere, ostetriche…) fecero richiesta di essere inserite nelle liste elettorali per ottenere il voto politico alle Corti d’Appello di Ancona, Palermo, Brescia, Cagliari, Firenze, Napoli, Venezia.
Tutte le sentenze si conclusero con esito unanimemente sfavorevole, fatta eccezione per la città di Ancona.
In particolare, nella Provincia di Ancona, dieci maestre si batterono per l’iscrizione alle liste elettorali. Nelle stanze del Municipio di Senigallia e Montemarciano anticiparono di quarant’anni la conquista del diritto di voto e 10 maestre ottennero la tessera elettorale grazie a Lodovico Mortara, primo presidente della Corte di appello di Ancona, definito “il giudice delle donne”.
Da qui la dichiarazione di Montessori alla città di Ancona, definita patria.
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