Pari dignità alle donne a partire dal linguaggio
Il linguaggio risulta essere lo specchio della società. Il linguaggio può avere un’azione discriminatoria che generalmente viene sottovalutata e, ancor più grave, accettata. Gli stereotipi di genere possono nascondersi anche dietro l’uso delle parole e delle più ricorrenti espressioni. L’uso del maschile con riferimento ad un soggetto femminile, si è nel tempo consolidato, tramandato ed accettato, diventando parte integrante della mentalità. Ma tale utilizzo del maschile ha contribuito ad escludere la donna dalla vita professionale e dal prestigio pubblico. Ed ecco che negli anni qualcosa è cambiata.
Si dice Avvocata o Avvocatessa?
Nel tempo è diventato quasi del tutto scontato e inconsapevole chiamare avvocato una donna che esercita la professione forense. Perché questo è accaduto? In passato gli uffici e gli incarichi di un certo prestigio, erano preclusi alle donne. Non ci si poneva neppure il problema della declinazione dei titoli al femminile. Con il passare del tempo però è nata l’esigenza di riferirsi ad un soggetto femminile utilizzando la declinazione femminile e non maschile. Il linguaggio, non solo parlato ma anche scritto, è iniziato a cambiare, ad evolversi.
Per riconoscere alla donna pari dignità, risulta oggi importante partire proprio dal linguaggio. Partendo da questo cambio di rotta, da questa evoluzione della lingua e della mentalità, dunque, è più corretto chiamare una donna che esercita la professione legale, avvocata o avvocatessa? Certo è che il termine adeguato per riferirsi ad una donna non è più Avvocato, nella declinazione maschile.
Avvocata o avvocatessa: la Crusca ha dato il via libera ad entrambi i termini
Nel linguaggio comune, i termini avvocata e avvocatessa vengono entrambi utilizzati in modo indifferente. Ma, dal punto di vista grammaticale e linguistico, esiste una forma più corretta di un’altra per definire la professione forense quando è svolta da una donna? A questa domanda ha voluto dare risposta l’Accademia della Crusca, la quale, tenendo conto di quanto già avviene nel linguaggio parlato, ha aprovato l’utilizzo di entrambe le forme: avvocata e avvocatessa.
La lingua italiana, non essendo statica, muta e si arricchisce di nuove forme in relazione all’evolversi della società.
Quanti avvocati e avvocate ci sono in Italia?
Secondo i dati diffusi dal Rapporto 2021 sull’avvocatura, realizzato dal Censis in collaborazione con Cassa Forense, nel 2020 in Italia il numero di avvocati e avvocate iscritti agli ordini professionali è salito a 245.478.
Nel 2018 erano 243.488. Gli avvocati e le avvocate attivi iscritti a Cassa Forense sono passati da 229.906 nel 2018 a 231.295 nel 2020: vuol dire quasi quattro avvocati e avvocate attivi ogni 1000 abitanti.
L’identikit dell’avvocato/avvocata italiano tracciato dal rapporto, ha le seguenti caratteristiche:
- un’età compresa tra i 40 e i 49 anni;
- esercita al Sud Italia;
- guadagna circa 40 mila euro.
Per quanto riguarda il genere, il 2020 ha segnato il sorpasso delle avvocatesse sugli avvocati, seppur di pochi punti percentuali.
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