La diffusione di immagini private senza consenso rappresenta una grave violazione della privacy e dell’intimità individuale, spesso discussa con il termine di “revenge porn” letteralmente “pornografia della vendetta”. Questa pratica illegale si configura quando foto o video a contenuto sessualmente esplicito vengono condivisi senza l’autorizzazione della persona che vi appare, generalmente per vendetta o a seguito della fine di una relazione sentimentale.
La gravità di questo fenomeno risiede nella sua capacità di danneggiare profondamente la vita delle vittime, portando a conseguenze psicologiche anche devastanti.
La facilità con cui le immagini private possono essere replicate e diffuse attraverso dispositivi mobili, computer e piattaforme online aggrava ulteriormente il problema, rendendo la lotta contro la loro diffusione estremamente complessa.
Le vittime di “revenge porn” spesso si trovano a lottare non solo con il trauma emotivo e mentale causato dall’esposizione non consensuale, ma anche con la sensazione di impotenza e vergogna derivante dalla difficoltà di controllare la diffusione delle proprie immagini private.
Diffusione di immagini private: un problema significativo anche in Italia
La diffusione non autorizzata di immagini intime private rappresenta un problema significativo in Italia, con statistiche preoccupanti che evidenziano l’entità di questo fenomeno.
Ogni anno, si registrano numerosissimi casi di condivisione illecita di contenuti sessualmente espliciti, traducendosi in una media di circa due/tre episodi ogni giorno. Questi dati sono emersi tempo fa dal documento “Un anno di codice rosso. Reati spia e femminicidi” pubblicato dal Ministero dell’Interno, che ha fornito un’analisi dettagliata sulla situazione nel Paese.
La Lombardia si distingue come la regione più colpita da questa problematica. Un aspetto particolarmente allarmante riguarda il genere delle vittime: l’80% di esse sono donne, ciò sottolinea una marcata disparità di genere all’interno di questo tipo di violenza digitale. Tra queste donne, l’83% è maggiorenne, quindi la diffusione di immagini intime senza consenso colpisce principalmente adulti, sebbene non manchino casi che coinvolgono minorenni.
Questi dati mettono in luce la gravità e la diffusione della violazione della privacy attraverso la condivisione non consensuale di immagini private, evidenziando la necessità di rafforzare le misure di prevenzione e di protezione delle vittime in Italia.
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Come può avvenire la diffusione di immagini intime senza consenso?
La diffusione di immagini private intime non consensuale, avviene attraverso modalità diverse. Può accadere che le persone coinvolte abbiano inizialmente condiviso foto o video di natura personale e intima con qualcuno di “fidato”, il quale poi decide di diffondere il materiale senza il loro consenso.
Altre volte, i momenti privati vengono registrati di comune accordo tra le parti, con la condizione esplicita che tali registrazioni rimangano private; tuttavia, questa fiducia viene tradita e il materiale viene reso pubblico.
Esistono anche situazioni in cui i video o le fotografie vengono ottenuti senza il consenso della persona ritratta, per esempio mediante l’uso di telecamere nascoste.
Infine, un’altra via attraverso cui le immagini possono essere acquisite è l’hacking, dove l’autore del reato accede illegalmente ai dispositivi elettronici della vittima per sottrarre il materiale intimo.
Quali sono i principali strumenti di condivisione?
Una volta ottenute, queste immagini e video intimi possono essere diffusi attraverso vari canali. Le piattaforme social, i siti web a contenuto pornografico e i servizi di messaggistica istantanea come WhatsApp o Telegram diventano gli strumenti principali per la loro condivisione.
Questa facilità di diffusione, abbinata all’ampio raggio d’azione che internet offre, rende particolarmente arduo eliminare completamente il materiale compromettente una volta che è stato messo online.
L’esistenza di una copia digitale implica che ci sarà sempre il rischio che le immagini o i video possano essere ritrovati e condivisi nuovamente, alimentando un ciclo difficilmente da interrompere.
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Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti: Articolo 612 ter del codice penale
L’articolo 612 ter del codice penale italiano si occupa specificamente della “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, una normativa introdotta per contrastare il fenomeno del revenge porn. La legge punisce coloro che, avendo realizzato, sottratto, ricevuto o in altro modo ottenuto tali contenuti, procedono alla loro diffusione con l’intento di nuocere alle vittime.
Le sanzioni previste da questa disposizione sono applicate non solo a chi diffonde il materiale senza l’autorizzazione dei soggetti coinvolti ma anche a coloro che, pur avendo acquisito le immagini o i video in maniera lecita, scelgono di divulgarli con lo scopo di arrecare danno.
La severità delle pene aumenta in casi particolari, come quando il reato è commesso da individui legati alla vittima da vincoli matrimoniali, anche se separati o divorziati, o da relazioni affettive passate o presenti. Un altro aggravante si verifica quando la diffusione avviene attraverso l’uso di strumenti informatici o telematici.
La legge prevede un inasprimento delle sanzioni se il reato è perpetrato ai danni di persone in uno stato di vulnerabilità, sia essa fisica o psichica, o di donne in gravidanza. Queste disposizioni riflettono la volontà del legislatore di tutelare l’integrità e la privacy degli individui, ponendo particolare attenzione alle situazioni di maggiore fragilità o di specifica relazione interpersonale, in cui il danno arrecato dalla diffusione illecita di contenuti privati può risultare ancora più grave.
Reato revenge porn: quale pena?
Per il reato di revenge porn, si prevede una pena che va dalla reclusione da uno a sei anni, accompagnata da una sanzione pecuniaria che oscilla tra i 5.000 e i 15.000 euro. Oltre alle sanzioni penali, questo reato può comportare l’adozione di misure cautelari sin dalla fase delle indagini preliminari.
In presenza di gravi indizi di colpevolezza e di specifiche necessità cautelari delineate dal codice di procedura penale, il Pubblico Ministero può richiedere al Giudice per le Indagini Preliminari l’applicazione di misure cautelari personali, che in situazioni di particolare gravità possono includere gli arresti domiciliari o la detenzione in carcere.
Come denunciare?
Per intraprendere un’azione legale contro il reato di revenge porn è necessario procedere attraverso la querela da parte dell’individuo leso. Questo meccanismo consente alla vittima di richiedere formalmente l’intervento dell’autorità giudiziaria per perseguire il responsabile della diffusione non autorizzata di contenuti intimi.
A differenza di altri reati, per cui il termine entro cui è possibile presentare querela è generalmente di tre mesi dalla scoperta del fatto, nel caso del revenge porn il legislatore concede un periodo più ampio, sei mesi, per facilitare la decisione della vittima di procedere legalmente contro il trasgressore.
Esistono, però, situazioni in cui l’intervento della giustizia non richiede l’atto formale della querela da parte della vittima. In tali circostanze, lo stato procede d’ufficio, ovvero automaticamente, nel perseguire il responsabile del reato. Questo accade in particolari contesti, ad esempio, quando la vittima è in uno stato di particolare vulnerabilità o quando il reato di revenge porn si accompagna ad altri crimini che richiedono l’azione proattiva delle autorità.
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