Paola Bernardotto, fondatrice di Ettomio, si distingue per il suo approccio rivoluzionario nel settore dell’arredamento per bambini, puntando su valori di sostenibilità, etica e inclusione. Ettomio non solo promuove il concetto di “arredamento cognitivo”, ma combatte anche il modello di “fast furniture”, offrendo soluzioni di design evolutive e rispettose dell’ambiente. Paola è una delle sei finaliste del Premio GammaDonna 2024, un riconoscimento che valorizza l’imprenditoria femminile innovativa. Scopriamo come la sua visione ha plasmato un’azienda che sfida le norme convenzionali del settore dell’arredo, portando un impatto positivo su famiglie e comunità.
Paola Bernardotto, fondatrice di Ettomio, si racconta su Feminility Media
Ettomio è un brand che promuove il concetto di “arredamento cognitivo” e “slow design”. Qual è stata la scintilla che ti ha portato a creare un’azienda con una mission così particolare?
Credo che nella nostra vita si verifichino degli eventi destinati a cambiare la prospettiva da cui vedere le cose. A me è successo quando ho realizzato che, all’arrivo del mio primo bambino – per assecondare le esigenze del sonno, dell’apprendimento e dell’educazione affettiva della nostra famiglia – avrei dovuto acquistare almeno 3 letti diversi nell’arco dei primi 3-4 anni di vita del piccolo! Questa scelta sarebbe naturalmente stata estremamente impattante su tanti aspetti: quanti rifiuti avrei generato? Quanto avrei consumato e speso per questi continui cambi e sostituzioni? Ma soprattutto quali valori avrei trasferito al mio bimbo?
Con Ettomio – oltre a dare una soluzione etica e rispettosa di tutta la filiera – cerco di creare consapevolezza e cultura sui temi dell’acquisto consapevole, anche nel settore dell’arredo.
Come mamma e imprenditrice, hai affrontato il tema del “fast furniture”. Cosa ti ha spinto a intraprendere questa sfida contro un modello di produzione così diffuso e spesso più economico?
Nelle nostre discariche la maggior parte dei rifiuti ingombranti sono mobili e molti di questi sono li perché progettati per non durare più di 5 anni. Scegliere di produrre in modo consapevole, significa affrontare una sfida enorme perché i consumatori raramente conoscono i retroscena della produzione. D’altra parte, scegliere di produrre in modo diverso e di produrre “il necessario” remunerando correttamente tutta la filiera, credo sia la strada corretta per il futuro perché sovra produrre o produrre senza rispetto delle materie prime e delle persone coinvolte non è e non potrà più essere una soluzione.
Il tuo brand collabora con una cooperativa sociale per il confezionamento dei kit di montaggio, coinvolgendo ragazzi con Sindrome di Down. Come è nato questo legame e quali sono i benefici che questa collaborazione porta sia a loro che al tuo business?
Ho conosciuto A.gen.do perché – tra le varie attività della cooperativa – c’è quella di vendita di frutta e verdura (anche con cassette settimanali per corrispondenza). Incuriosita dalla bellezza e gentilezza che vedevo nei gesti di questi ragazzi mi sono informata sulla loro organizzazione e – da li – è nata questa collaborazione. Per loro, essere coinvolti e inclusi in un’attività lavorativa remunerata è un punto d’arrivo importante e un modo per sentirsi davvero accolti in società. Per noi, che siamo società benefit nel dna, è stato naturale organizzare questo pezzetto della filiera coinvolgendoli. Devo dire che alla fine, sono loro a lasciare ben più di quello che noi diamo!
La sostenibilità e il design etico sono al centro della tua visione aziendale. Come pensi che questi valori possano contribuire al cambiamento delle abitudini di consumo, specialmente quando si tratta di arredamento per bambini?
Quando scegliamo gli oggetti per i nostri bambini cerchiamo “il meglio”. In una società dove esiste una risposta ad ogni “desiderio”, dove online (soprattutto) si trova qualsiasi cosa e a qualsiasi prezzo, il meglio non è semplicemente trovare un oggetto che ci piace o ci serve, ma trovare l’oggetto che ci rappresenta. Credo quindi che gradualmente e in tutti i settori (cosi come lo è nel fashion o nell’alimentare) saremo in grado di decifrare un oggetto non solo per l’”offerta” o la “disponibilità” ma per la qualità: ovvero per quanto quell’oggetto risponde alla nostra sfera valoriale.
Dimostrare che è possibile proporre oggetti d’arredo sostenibili, etici e giusti e comunicarlo nel modo corretto può aiutare le persone a mettere in discussione i propri acquisti, ponendo maggior attenzione alle scelte… per scegliere “il meglio” per sé e per la propria famiglia e perché no, anche per un futuro migliore.
Come donna imprenditrice in un settore dominato spesso da figure maschili, quali sfide specifiche hai incontrato e come le hai affrontate?
Ho una lunga esperienza professionale in ambito commerciale e le ossa le ho fatte ancor prima di diventare imprenditrice . Devo dire che – forse anche per le mie origini venete – ho sempre preferito dimostrare con i fatti il valore delle mie parole, promesse e decisioni e questo mi ha permesso di essere credibile anche in un settore tipicamente maschile.
L’inclusione è un valore centrale nel tuo progetto, come dimostra la collaborazione con la cooperativa sociale. Quanto è importante per te promuovere inclusione e diversità nel mondo dell’imprenditoria?
Dialogare con realtà diverse e accogliere nell’organizzazione il loro contributo a noi ha portato energia, ispirazione e vitalità. Io credo che l’imprenditoria abbia proprio bisogno di circuiti virtuosi che guardino al di là del profitto del singolo, a favore di un più alto beneficio comune.
Il tuo percorso è un esempio di come l’innovazione possa nascere da una visione etica e sostenibile. Cosa significa per te essere una leader dell’innovazione nell’imprenditoria femminile?
Innovare significa pensare in modo creativo e migliorare ciò che esiste già (o trovare soluzioni nuove). Il punto sta nel definire cosa significhi “migliorare”. Credo che siamo arrivati ad un momento storico in cui non possiamo prescindere dal considerare il “miglioramento” come espressione etica, sostenibile e inclusiva. In generale questa sensibilità è molto presente nei tratti delle imprenditrici donne che sfruttano la loro intuizione e animo collaborativo per accrescere e rafforzare l’economia e la società.
Quali sono le difficoltà principali che hai dovuto affrontare per costruire una rete di fornitori artigiani italiani e promuovere il “Made in Italy” in un settore competitivo come quello del design d’interni?
Sicuramente essere partita da zero con un’impresa nativa digitale non ha aiutato a dialogare con aziende fornitrici strutturate che vedevano nel progetto un interlocutore troppo piccolo. Questa però è stata anche la spinta che ha portato Ettomio a costruire un distretto produttivo fatto di piccole realtà, spesso a conduzione familiare, con cui lavoriamo a stretto contatto e che si portano appresso il know how di generazioni. Diciamo una maggior difficoltà di coordinamento ma una miglior resa sul risultato finale!
Hai recentemente iniziato a donare arredi al Villaggio SOS di Vicenza, supportando famiglie in difficoltà. Come è nata questa iniziativa e quali obiettivi ti sei posta per il futuro di questa collaborazione?
Ogni anno ci poniamo un nuovo obiettivo sociale che va ad affiancare le azioni già attive. Alla fine del 2024 ho ricevuto in regalo un libro sulle storie raccontate da bambini e ragazzi del Villaggio SOS di Vicenza e sono rimasta colpita dalla realtà che, a pochi metri dal nostro ufficio, ogni giorno cura e supporta donne e bambini in difficoltà. L’obiettivo è quello di supportarli , seguendo le loro necessità, anche possibilmente integrando nuovi giovani lavoratori nel nostro team.
Nel tuo lavoro, combini design e imprenditoria con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle famiglie. Come pensi che l’innovazione possa contribuire ulteriormente a migliorare l’inclusione sociale e l’empowerment delle donne nel mondo del lavoro?
L’innovazione oggi è la capacità di armonizzare la crescita (e il profitto) con la sostenibilità e la responsabilità sociale. È proprio qui che troviamo spazio per attività di inclusione e cultura “nuove”, che abbattono le barriere storiche anche in ambito lavorativo, dando spazio ad una cultura più equa e aperta, dando spazio alle donne e trovando il loro il vero motore del cambiamento.
Essendo una delle finaliste del Premio GammaDonna, che tipo di messaggio o ispirazione vorresti trasmettere alle giovani donne che si affacciano al mondo dell’imprenditoria?
Il messaggio che vorrei lanciare è su due piani.
Da una parte – come direi a tutti coloro che hanno un’idea valida- è di seguire i propri progetti e idee, con determinazione e tenacia … come dire: “se ci credi, fallo!” Dall’altra mi sento di chiedere a gran voce al mondo femminile di esserci, di non mollare e di continuare a mostrare la grinta perché c’è proprio bisogno della nostra sensibilità, resilienza, capacità di adattamento e spirito di innovazione sociale e culturale affinché possa succedere un cambiamento vero nel nostro Pianeta.