Tra le sei finaliste del Premio GammaDonna, Michela Conti, co-founder di UGO, ci svela il percorso e la visione alla base della sua startup innovativa. Fondata per rispondere a un bisogno crescente di assistenza, UGO si distingue offrendo un servizio di caregiving che integra tecnologia e contatto umano, mirando a supportare le famiglie nella gestione della cura di persone fragili. Con l’obiettivo di colmare il vuoto di servizi di assistenza leggera, UGO permette alle famiglie di accedere a un sistema online, garantendo qualità, trasparenza e personalizzazione nel supporto a chi ne ha più bisogno. In questa intervista, Michela racconta le sfide incontrate nel costruire un’impresa socialmente impattante, il valore di un team formato e appassionato e l’importanza dell’inclusione e della diversità per un cambiamento positivo nel settore dell’assistenza.
Intervista a Michela Conti: UGO e la missione di offrire un caregiving innovativo
UGO offre un servizio innovativo di caregiving che combina tecnologia e contatto umano. Qual è stata la motivazione principale che ti ha spinto a fondare questa attività?
Con Francesca – mia socia – per un progetto nato da connessioni inconsuete, ci siamo trovate di fronte al vuoto di servizi nell’ambito dell’assistenza “leggera”. Con il lavoro di cura gestito quasi interamente dalle famiglie, una logica che il sistema e la mancanza di alternative ci impone.
Il caregiving è un settore sempre più importante nella società, specialmente con l’invecchiamento della popolazione. Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare nel portare avanti un progetto così ambizioso?
La prima è sicuramente partire e sopravvivere, a livello aziendale intendo, coniugando la parte operativa, quella emotiva e quella finanziaria. Poi essere credibili, ai propri occhi e a quelli del mercato. Infine direi conquistare la fiducia dei nostri stakeholder. Ma la sfida ancora aperta è il cambio di mentalità a tutti i livelli, per portare nel mondo digitale un servizio come il caregiving e per attivare sempre più sinergie pubblico-privato.
UGO è un servizio che si distingue per l’empatia e la capacità di rispondere alle esigenze degli utenti fragili. Quali aspetti innovativi, dal punto di vista tecnologico e umano, caratterizzano la vostra offerta?
I servizi di supporto e assistenza come il nostro tendenzialmente vengono gestiti “carta e penna” con una logica estremamente locale e frammentata. Noi portiamo l’intero sistema online per renderlo scalabile e sostenibile, potenzialmente iper capillare ma mantenendo uniforme la qualità. E il tutto è tracciato e recensito: tutti siamo abituati a ordinare un panino o un pacco e saperne vita morte e miracoli; quando affidiamo una persona cara a un servizio di accompagnamento invece?!
A livello umano iniziamo a delineare la figura del caregiver come profilo professionale, dando valore a un set di soft skills estremamente di valore ma che non siamo abituati né a riconoscere né a sfruttare. La nostra rete di operatori è selezionata e formata ma sono persone di ogni tipo e background, una risorsa preziosissima che consente di redistribuire il lavoro di cura sulla comunità.
Durante la pandemia avete fornito assistenza gratuita a persone anziane, malate o con disabilità. Cosa vi ha insegnato questa esperienza, e come ha influenzato la vostra visione per il futuro?
Ci ha insegnato a fare il meglio che possiamo con le risorse che abbiamo. Stando nel momento. Anche se nel business plan non avevamo quelli. Abbiamo reagito al presente con lucidità e mosse dalla volontà di fare scelte giuste, prima di tutto per le persone: aiutare la comunità, garantire lavoro al nostro team e ai nostri operatori. L’impatto sociale è sempre stato un motore, a livello non sempre consapevole, direi istintivo.
Come donna imprenditrice in un settore complesso come quello del caregiving, quali sono state le principali sfide che hai affrontato nel cercare di innovare e allo stesso tempo creare un impatto sociale positivo?
Far capire che il nostro settore ha una portata e un potenziale enorme e che è un’opportunità pazzesca di coniugare business e impatto. Vero e diffuso. E questo non è qualcosa che vediamo perché abbiamo uno sguardo femminile o emotivo o siamo mosse da inclinazioni e ruoli (perché sono questi i cliché che ci circondano) ma al contrario sono evidenze che un occhio lucido, attento, basato sui dati, deve vedere.
A questo aggiungo che il mercato degli investimenti – come quello del lavoro – non è ancora abituato a dare lo stesso spazio o forse la stessa fiducia a imprenditrici donne. Questo almeno per la mia esperienza.
L’inclusione e l’accessibilità sono due valori centrali nella vostra mission. Come pensi che UGO possa contribuire a migliorare l’inclusione sociale e ridistribuire il carico di cura, sollevando le famiglie da questo compito gravoso?
In molti modi. Prima di tutto rendendo le persone libere e autonome nel gestire la propria vita, superando le fragilità, accedendo ai servizi e restando incluse a livello sociale. Mettendo in contatto centinaia di operatori caregiver con migliaia di utenti e famiglie, favorendo scambio e connessioni umane. E poi facendo cultura su questi temi, per sdoganare tanti tabù e per parlare di questi temi con ottimismo, fiducia e voglia di innovare.
La tecnologia gioca un ruolo importante nella vostra attività. Come riesci a bilanciare l’utilizzo di soluzioni digitali con il mantenimento di un approccio empatico e personalizzato nella cura delle persone?
Ricordandoci che la tecnologia è sempre il mezzo e mai il fine. Usiamo la tecnologia per innovare davvero e rendere ciò che facciamo misurabile, scalabile e trasparente. Ma il cuore del servizio è l’ascolto dei bisogni, il dialogo con gli utenti, la formazione degli operatori, la loro capacità di supportare chi affiancano. Così come le relazioni con i nostri partner. Tecnologia e processi ci appassionano ma sono il nostro “come” non certo il nostra “cosa”.
Essendo una delle finaliste del Premio GammaDonna, quale messaggio vorresti trasmettere alle altre donne imprenditrici che vogliono fare la differenza nel settore dell’assistenza e del welfare?
Di pensare a quello che serve, non a cosa può fare tanti soldi. E se hanno una visione chiara, di resistere e non cedere alle lusinghe né dei finanziamenti né delle vanity metrics, se significa essere portati lontano dal proprio purpose. E di fare rete, senza paura di condividere o di svelare: il percorso è lungo, la qualità si vede sulla lunga distanza, il mercato è gigantesco, ci stiamo tutti!
UGO punta a rivoluzionare il caregiving in Italia. Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro e come vedi evolvere il ruolo del caregiving nei prossimi anni?
Vorrei riuscire a creare un sistema replicabile e capillare di sinergia con il territorio, le istituzioni e il sistema pubblico, per rendere il servizio capillare e accessibile. Vorrei far riconoscere la figura del caregiver professionale certificando il percorso di formazione e acquisizione delle soft skills. Vorrei che sempre più famiglie si unissero a noi per far emergere il lavoro di cura e costruire una rete sostenibile, trasparente e priva di tabù.
Infine, l’inclusione è un tema fondamentale per la tua azienda. Come donna imprenditrice e co-founder di UGO, quanto ritieni importante promuovere una maggiore inclusione delle donne nel mondo del lavoro e dell’innovazione?
Importantissimo. E bisogna partire dalle bambine, dalla formazione. Le donne, oltre a quelle intellettive, hanno eccezionali capacità di intelligenza emotiva, politica, morale. Sanno mediare, sanno motivare e tendenzialmente hanno un effetto positivo in termini di reputation sulle aziende. E la diversità è sempre un valore aggiunto: sistemi di leadership e lavoro più bilanciati, danno risultati migliori, anche a livello finanziario. Per usare una frase che ho sentito di recente e rende bene l’idea: Per fare goal non ci serve una porta più grande, ci serve toccare palla!