Nicola Calathopoulos, nato ad Alessandria d’Egitto il 17 ottobre 1960, è un affermato giornalista, laureato in Filosofia all’Università Statale di Milano. La sua carriera lo ha visto ricoprire ruoli di grande rilievo, tra cui vicedirettore di “Sportmediaset”, “Tg4”, “NewsMediaset” e “Tgcom24”. Vincitore di importanti riconoscimenti come il premio giornalistico Coni-Ussi e il “Maestrelli”, attualmente cura la rubrica settimanale E-Planet per Mediaset ed è tra gli autori della serie televisiva “Gioco sporco”, in onda su Italia1, che mescola sport e crime. Il suo primo romanzo, Dannati per sempre (Edizioni Minerva), è stato finalista al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como 2021, ha ricevuto il Premio Speciale al Premio Letterario I Sassi di Matera 2021 e la Menzione speciale al Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo-Antonio Semeria.
Nel suo nuovo romanzo, Testimone Imperfetta, Calathopoulos ci conduce in un’avvincente storia di omicidio e mistero. Martina Saggesi, la protagonista, è testimone di un brutale assassinio, ma soffre di prosopagnosia, un deficit percettivo che le impedisce di riconoscere i volti, nemmeno quello dell’assassino. In una corsa contro il tempo, tra tensione e riflessione filosofica, Martina si allea con il commissario Farina, un personaggio descritto dall’autore come un “Maigret del ventunesimo secolo”, per cercare di risolvere il caso. Testimone Imperfetta è un giallo che va oltre la pura tensione narrativa, esplorando il mondo interiore dei protagonisti e la complessità del destino e delle scelte umane.
In questa bella conversazione con feminilitymedia.it, Nicola Calathopoulos ha offerto preziosi consigli e riflessioni per la nostra community, invitandoci a guardare con coraggio alle sfide della vita, proprio come fa la sua Martina. Ci auguriamo che Testimone Imperfetta ottenga il successo che merita e invitiamo tutti i lettori a immergersi in questo avvincente e profondo romanzo.
Potete acquistarlo direttamente qui.
Da dove è nata l’idea per “Testimone Imperfetta”? Cosa l’ha portata a scegliere la prosopagnosia come tema centrale?
L’idea è nata da una confidenza che mi ha fatto una persona che conoscevo da tempo e che non mi aveva mai parlato del suo problema. Avere la prosopagnosia, un deficit percettivo che impedisce di riconoscere i volti di chi ci circonda, significa vivere in un mondo senza facce nel quale mancano i presupposti minimi per andare avanti. Questa persona me ne ha parlato sorridendo, come se fosse la cosa più naturale del mondo e mi ha raccontato episodi imbarazzanti in cui si era trovata coinvolta. Le ho detto subito che mi aveva fornito uno spunto molto interessante per scrivere un romanzo. Io non sapevo dell’esistenza della prosopagnosia e come me la stragrande maggioranza delle persone. Anche molti medici non sanno riconoscerla e la scambiano per una forma di autismo.
Martina è una testimone chiave ma anche una donna che affronta situazioni complesse. Come si sviluppa il suo ruolo femminile nel romanzo e come riesce a conciliare le sue fragilità con la forza che dimostra?
Non solo la mia Martina mi ha fatto un grande regalo aprendomi gli occhi su una realtà che non conoscevo ma mi ha anche indirizzato, quasi suggerito con il suo atteggiamento il tipo di personaggio che la protagonista di Testimone imperfetta doveva essere. Una donna forte, che non si piange addosso, in grado quasi di sorridere su quello che le è capitato. Martina, nel romanzo, assiste a un omicidio, vede in faccia l’assassino ma non può ricordarne il volto e aiutare il commissario Farina a fare un identikit. Questa situazione è per lei frustrante ma tutta la vita si è trovata a dover combattere contro i fantasmi della sua malattia. Lo ha fatto prima prendendone coscienza, poi metabolizzandola, infine convivendoci. Il commissario ha un’intuizione che lo porterà a provare a percorrere una strada con la sua testimone imperfetta e lei, prima polemicamente, poi in maniera sempre più convinta lo seguirà. Lo fa perché è abituata così: a combattere e a non rassegnarsi mai. È una donna forte, intelligente, che ha momenti di down ma che supera sempre con tenacia. Come cantava Leonard Cohen:” C’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce.”
Ha descritto il commissario Farina come un “Maigret del ventunesimo secolo“. Quanto della sua formazione filosofica ha influenzato la costruzione di questo personaggio?
Noi siamo quello che mangiamo, quello che studiamo e leggiamo, quello che abbiamo amato e vissuto. Noi siamo la nostra esperienza di vita. I miei studi filosofici all’università mi hanno dato un metodo, un modo di affrontare la vita. La filosofia è analisi, dibattito e ricerca delle soluzioni, sintesi. Se impariamo a comportarci così in tutti i frangenti partiamo avvantaggiati. Mantenere la calma, essere razionali, scomporre un problema troppo grande e irresolubile in elementi più piccoli che possono, al contrario, essere affrontati e risolti è un buon modo di stare al mondo. Il commissario Farina si comporta proprio così: più che gli strumenti tecnici che la modernità gli mette a disposizione, preferisce affidarsi al dialogo, alla riflessione, all’analisi analitica di una situazione. Farina fa filosofia in ogni momento della sua vita perché si fa domande e cerca risposte, entra nella testa di chi interroga in un modo prima delicato poi sempre più deciso portando i suoi interlocutori a contraddirsi e a crollare. Anche Maigret era un fine osservatore della natura umana, l’annusava, la percepiva, la smontava con la sua arguzia fino a trovare le chiavi per entrare nel mistero che doveva risolvere.
Come pensa che la prosopagnosia, un deficit poco conosciuto, possa influenzare le relazioni e la vita quotidiana di chi ne soffre, come Martina nel suo romanzo?
Pensi che chi soffre della forma più grave di prosopagnosia non riconosce nemmeno sé stesso allo specchio. Ogni mattina si alza e intuisce che quelle persone che sono in casa con lui sono la moglie, il marito, i figli. Lo immagina perché sono lì con lui, perché hanno delle caratteristiche fisiche che confermano la sua ipotesi: il colore dei capelli, ricci, lisci, corti, lunghi; le orecchie a sventola o attaccate; un neo, una cicatrice, un’imperfezione, un dito piegato dall’artrosi, una voce cavernosa o squillante, un modo di camminare caracollante. Per orientarsi in un mondo senza facce, chi soffre di prosopagnosia deve ricorrere ad espedienti di questo tipo perché per lui le facce non hanno senso, sono tutte terribilmente uguali. Appare evidente a tutti la difficoltà di vivere e lavorare in una condizione del genere.
Martina deve affrontare un trauma non solo per essere testimone di un omicidio, ma anche per la sua condizione. Come ha voluto rappresentare il suo percorso di elaborazione di questa esperienza? Crede che il suo viaggio possa essere d’ispirazione per i lettori?
Il romanzo vive di flash back che portano il lettore indietro negli anni e ci fanno vedere Martina bambina che si trova all’improvviso a fare i conti con l’esperienza durissima della malattia. Il percorso, dalla paura di affrontare una cosa che non conosce e che la spaventa a morte fino alla consapevolezza che ci si può convivere, è tormentato e mai del tutto completato. Con questa cosa lei si confronta tutti i giorni: le ha lasciato in eredità un’asprezza di fondo, modi spicci, un atteggiamento che la porta ad essere molto selettiva, quasi cinica eppure simpatica e ironica, sintomi di un’intelligenza fiera che non le consente di abbandonarsi all’accettazione passiva. Io sarei felicissimo se chi leggerà Testimone imperfetta finirà per identificarsi con Martina, personaggio magnifico, rude e dolce, titubante e deciso, mai domo.
Il romanzo esplora il mondo dell’editoria, che può avere dinamiche di potere molto forti. Ha voluto riflettere su come queste dinamiche influiscono soprattutto sulle donne in contesti professionali?
La sua domanda ha un senso? In un mondo ideale non dovrebbe farmela ma io penso che un senso ce l’abbia perché siamo ancora qui a parlare di uomini e donne e non di chi ha o non ha capacità per fare una cosa o ricoprire un ruolo. Il cammino delle donne è ancora lungo e faticoso ma è destinato al successo. Non so quando sarà raggiunta la parità di genere ma sono sicuro che lo sarà. In Testimone imperfetta c’è un altro bel personaggio femminile, la giornalista Lucia Santi, un’altra che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Lei e Martina sono il mio minuscolo contributo alla battaglia delle donne che si fa anche ricordando a tutti in ogni modo e in ogni luogo che esistono, che sono brave, intelligenti e che devono, non possono, devono ricoprire gli stessi ruoli degli uomini.
Ha definito “Testimone Imperfetta” come un giallo esistenziale. In che modo è riuscito a bilanciare la tensione narrativa con la profondità delle riflessioni filosofiche dei personaggi?
Mi fa piacere che lei dica che ci sono riuscito, le cose spesso vanno come devono (lo ricorda sempre anche il commissario Farina) e la storia doveva essere raccontata così, tra la ricerca di un brutale assassino e il complesso mondo interiore di tutti i protagonisti. Ho scelto di percorrere la via del racconto delle singole esistenze dei personaggi piuttosto che trasformare la storia in un thriller. C’è tensione, ci si chiede chi sia l’assassino ma l’aspetto che più m’interessa è vedere come le persone reagiscono di fronte agli eventi della vita: la prosopagnosia, un assassinio, il dovere di dare certe notizie.
Martina dimostra una grande forza interiore nonostante la sua condizione. Come pensa che il suo personaggio possa rappresentare un esempio di resilienza per le donne?
Quello che la vita le ha riservato è tremendo, gli esempi stanno negli atti, non nelle parole e nelle dichiarazioni d’intenti. Basta vedere come si comporta Martina perché diventi immediatamente un esempio per tutti.
Il tema del destino è molto presente nel romanzo, come una forza che mette alla prova i protagonisti. Quanto è importante questo tema nel suo lavoro, e in particolare in “Testimone Imperfetta”?
Accettare il destino significa abdicare al nostro ruolo nel mondo? Lo abbiamo questo ruolo? La lotta tra una forza superiore che ci passa sulla testa e decide il senso e la direzione della nostra vita è in qualche modo conciliabile con la nostra voglia di scegliere quello che siamo, i nostri studi, il nostro lavoro, le piccole cose di tutti i giorni, le nostre letture? È un dibattito filosofico vecchio come il mondo al quale si sono date innumerevoli risposte. Io ho voluto immaginare il destino proprio come una forza che mette alla prova le vite dei protagonisti e quindi anche le nostre. Il libero arbitrio è sovrano, noi decidiamo quello che vogliamo essere ma per diventarlo dobbiamo lottare contro tutto e tutti. Tutto e tutti sono il destino: mi piace poter pensare che, se vinciamo noi, il nostro destino lo decidiamo noi e non una forza sovrannaturale che fa di noi quello che vuole. Attenzione, parliamo di filosofia, di pensiero, poi attraversi la strada e un ubriaco ti tira sotto in macchina e tutto diventa maledettamente reale. Ma non puoi svegliarti la mattina pensando che sia tutto deciso: ci siamo noi con le nostre idee e quello che vogliamo diventare. Il destino ci mette alla prova e dobbiamo pensare che non sempre riesce a vincere, altrimenti tanto vale fermarsi subito.
Cosa spera che le lettrici di feminilitymedia.it portino con sé dopo aver letto “Testimone Imperfetta”? Quale messaggio di resilienza e di forza femminile crede emerga dal romanzo?
La voglia di essere sé stesse senza se e senza ma. Non siamo tutti uguali e questa è la bellezza di un mondo che altrimenti sarebbe banale, monotono e scontato. Bisogna lottare per diventare quello che siamo. Alla fine, è quello che fanno sia Martina che Lucia.
Può raccontarci qualcosa del suo metodo di scrittura? Come bilancia la sua attività giornalistica con la creazione di romanzi così profondi e complessi?
Io credo che la letteratura sia la prosecuzione del giornalismo con altri mezzi. Io mi cibo di cronaca, di lettura, di giornali, di tutto quello che il mondo mi racconta attraverso questi mezzi. Le storie sono scrigni che contengono gioielli di bellezza inaudita, basta saperli aprire. Le storie bussano alla porta, la mia formazione giornalistica mi aiuta a riconoscerle e la mia impostazione filosofica mi consente di elaborarle. La profondità e la complessità sono caratteristiche di chi è abituato a ricercarle in ogni aspetto della vita, io le ho applicate alla scrittura dei romanzi. Scrivere e raccontare sono la cosa più bella del mondo.
Ha già in mente nuovi progetti o temi da esplorare nei suoi prossimi lavori? Continuerà a concentrarsi sull’unicità delle persone e sui loro comportamenti particolari?
Ho diverse idee ancora non risolte. Ci lavorerò finché si manifesteranno compiutamente. Di certo l’unicità delle persone sarà al centro della mia produzione futura come lo è stata fino ad oggi. Cercare chi non è uguale a noi, capirlo, farne un esempio se merita di esserlo è un accrescimento straordinario. Un mondo di persone tutte uguali è per me inimmaginabile.
Grazie per il tempo dedicato alla community di Feminility – Il lato positivo