Glass Hostaria – ristorante guidato in cucina dalla Chef stellata Cristina Bowerman – si distingue dalla realtà trasteverina in cui è immerso, sia per la proposta gastronomica che offre, sia per il suo design contemporaneo ed essenziale del ristorante.
Intervista a Cristina Bowerman – Glass Hostaria offre un’esperienza culinaria unica e sorprendente per coloro che desiderano scoprire le prelibatezze cucinate dalla Chef Cristina Bowerman. La sua cucina leggera e raffinata rappresenta un’alternativa fuori dal comune rispetto alle tipiche trattorie di Trastevere. La Chef rivisita la tradizione culinaria italiana con accostamenti originali e innovativi, creando un’esperienza gastronomica internazionale. Inoltre, la sua cucina si basa sulla ricerca, la passione, l’esperienza e l’utilizzo di materie prime stagionali di eccellente qualità. Glass Hostaria è molto più di un semplice ristorante: l’eclettica e controcorrente Chef Cristina Bowerman ne parla con entusiasmo a Feminility.
1. Cristina Bowerman, Chef italiana, con 1 stella Michelin e 3 forchette Gambero Rosso, è un piacere intervistarla. Ci racconti un po’ di lei e delle sue avventure intorno al globo, com’è riuscita ad ottenere tutto questo successo?
Non c’è una formula matematica per il successo. Se sono qui è stato grazie ad un insieme di opportunità che mi si sono presentate lungo il cammino. Personalmente, credo che le esperienze vadano vissute appieno, ma spesso ci tiriamo indietro per paura di fallire. Invece, forse grazie alla mia spavalderia, che credo di avere per via di essere la maggiore di tre figli e una donna del sud, ho preso questi treni che mi passavano davanti. Scherzo dicendo che ci svegliamo con la lama del coltello tra i denti ogni mattina!
Ad ogni modo, sono qui adesso, almeno per il momento. Fin ora, questo è stato, forse, il viaggio più lungo che abbia fatto nella mia vita. La passione per la cucina c’è sempre stata, però credo che sia anche una caratteristica che contraddistingue moltissime persone del sud; che, sempre scherzando, a colazione parlano di che cosa mangeranno a pranzo, e a pranzo parlano di quello che cucineranno a cena. Quindi, diciamo che in generale la cultura del cibo è particolarmente presente al sud, e mi contraddistingue da sempre!
Una strada percorsa per realizzare un grande sogno…
In realtà io ho frequentato il liceo linguistico, quando addirittura i licei linguistici non erano ancora pubblici in Italia. Avevo questa grande passione per le lingue straniere, ma poi in realtà ho virato, mi sono laureata in legge, ho lavorato per due anni per uno studio molto noto nella mia città, Bari, in Puglia, però diciamo che mi stava un po’ stretto. Ho sempre sognato in grande ecco, il sognare in grande credo che sia essenziale.
È accertato scientificamente da alcuni studi che questa è una delle cose che manca proprio alle ragazzine. In pratica, in base ad alcune domande fatte sia alle ragazzine di 5/ 6 anni e ai ragazzini di 5 / 6 anni, sui loro desideri futuri, le femminucce hanno meno propensione a sognare in grande, volano basso e rispondono di voler fare l’insegnante, la veterinaria, diciamo professioni comuni. Mentre, i ragazzini hanno proposto professioni anche come l’astronauta o il presidente della repubblica.
2. Com’è riuscita a concretizzare la sua passione?
Ho sempre avuto grandi ambizioni nella vita e non mi sono accontentata di diventare solo un’avvocata. Quindi, sono andata negli Stati Uniti con l’intenzione di continuare i miei studi legali. Tuttavia, ho incontrato per caso una società proprietaria di 16 ristoranti molto rinomati, frequentati anche da personaggi famosi, di cui 14 erano italiani. Essendo l’ultima arrivata dall’Italia, mi hanno chiesto di aiutare nella gestione delle grafiche del menu, nella scelta delle parole e nella verifica dell’autenticità dei piatti. Inizialmente, non avevo pensato che la mia carriera potesse essere legata al mondo della ristorazione, ma accettai questo lavoro perché mi serviva un’occupazione mentre continuavo i miei studi.
La mia esperienza nel campo del design grafico è iniziata come un lavoro di passaggio, senza alcuna aspettativa di scoprire la mia parte creativa. Tuttavia, ho deciso di perseguire questa carriera e ho lavorato come disegnatrice grafica per i successivi 10 anni, pur continuando a coltivare la mia passione per la cucina e ospitando amici a casa mia per cene tipicamente in stile italiano.
Solo con il tempo, ho realizzato che la cucina potesse essere un modo migliore per esprimere la mia creatività rispetto al design grafico. Ho deciso quindi di lasciare il mio lavoro e di iscrivermi all’università di arti culinarie per laurearmi in questo campo. Ho completato il mio programma di studi negli Stati Uniti, ma la laurea era riconosciuta anche in Europa.
Il ritorno in Italia
Ho iniziato la mia carriera di chef negli Stati Uniti e ho fatto la gavetta per un po’ di tempo. Tuttavia, il mio obiettivo era essere il boss di me stessa e aprire un ristorante negli Stati Uniti. Ho deciso di venire in Italia per sei mesi per lavorare presso un ristorante stellato e acquisire maggiori conoscenze ed esperienze in questo campo. Ed avere anche maggiori opportunità di trovare investitori per il mio futuro ristorante negli Stati Uniti.
Inizialmente, avevo l’impressione di fallire come chef, pensavo che sarebbe stata una cosa di passaggio. Poi, durante la mia permanenza in Italia, mi hanno offerto delle posizioni interessanti, che ho rifiutato perché la mia intenzione era sempre quella di tornare negli Stati Uniti per aprire il mio ristorante.
Non volevo rimanere in Italia, ma poi ho cominciato ad apprezzare il progetto e la sfida che mi si presentava. Sebbene ci fossero già parecchie persone che mi supportavano e volevano aprire un ristorante con me, ho deciso di aumentare le mie competenze e potenziare la mia esperienza prima di intraprendere questo nuovo percorso. Alla fine mi sono innamorata del mio lavoro e della vita qui in Italia, ho deciso di restare e ho realizzato il mio sogno con Glass Hostaria.
Di recente, durante un’intervista con Luca Ferroa, mi hanno chiesto come sono stata accolta all’inizio del mio percorso. In realtà i miei colleghi avevano inizialmente provato antipatia nei miei confronti, ma ora temono che me ne vada, perché ho dimostrato il mio valore.
3. La sua cucina è uno spazio contemporaneo e innovativo. Un crossing culturale che racconta il gusto attraverso il dialogo costante fra tradizioni, culture, memoria e luoghi. Com’è nata Glass Hostaria e come si è inserita nella tradizione culinaria che contraddistingue la zona traversina romana?
Quando si apre un ristorante, anche se si ha un’idea vincente, non si può mai sapere con certezza come andrà. Glass rappresenta un’alternativa interessante perché si trova in una zona tradizionale come Trastevere, dove le persone vanno per mangiare in trattorie o osterie, ma non in ristoranti eleganti con un’offerta non tradizionale. Questa è la forza di Glass: se fosse nato in una città come Milano, dove l’offerta di cucina creativa era già presente, non sarebbe stato così innovativo come lo è stato 17 anni fa, quando è stato aperto.
La mia cucina non è l’unica ragione per cui Glass rappresenta una proposta alternativa a Trastevere. Il ristorante rispetta anche la legge in termini di tavolini selvaggi e schiamazzi notturni, il che lo differenzia da molti altri locali della zona. Ci sono anche i vicini del quartiere che temono che io possa andare via. Ma li ho rassicurati dicendogli che non mi muoverò fino a quando non deciderò di chiudere il ristorante e di fare qualche altra cosa nella mia vita.
In realtà, inizialmente è stato difficile affrontare la critica enogastronomica, della quale non ero assolutamente informata considerato che sono venuta qui in Italia senza conoscere nessuno. Tuttavia, ho iniziato a lavorare per parlare della mia cucina utilizzando un approccio tecnico e paziente, servendo un piatto dopo l’altro e costruendomi una clientela. È esploso tutto nel 2009, ma anche prima, quando i primi giornalisti venivano a trovarmi, non avevo la minima idea di chi fossero. Non conoscevo autori e autrici degli anni ’90 e forse questa mia ignoranza mi ha giovato, perché non ero mai in soggezione.
4. Da sempre attiva nel campo della sostenibilità alimentare, il suo nome è stato inserito anche nella Guida Michelin nella selezione mondiale di Green Initiative. In che modo Green Hostaria riesce ad essere un esempio di sostenibilità?
Nel 2009 ho avuto la grande consacrazione che tutt’oggi continuano ad assegnarmi, e per questo sono molto grata. Da allora, sono stata premiata innumerevoli volte, compresa la terza Forchetta del Gambero Rosso, che mi è stata conferita tre anni fa. Nonostante ciò, spesso le guide sembrano dimenticarsi di me.
Penso che questa sia una sorta di tecnica di marketing in cui, quando una realtà è ancora poco conosciuta ha maggiore possibilità di ottenere visibilità se persone o guide ne parlano bene. Al contrario, se ne parlano male, si potrebbe comunque attirare l’attenzione perché si è visti come un’eccezione rispetto agli altri. Tuttavia, devo dire che tutte le guide, i giornalisti e così via, concordano sul fatto che la mia cucina sia di alta qualità. Ma, a mio parere, la vera misura del successo è rappresentata dai miei clienti, che sono il termometro della mia cucina.
Anticipatrice di tendenze…
Invece, il tema della sostenibilità mi sta molto a cuore. Sono stata la prima in molte cose, ad esempio nel 2006/2007 usavo il Traeger Grill per fare le affumicature e facevo arrivare i chips dal Texas. Nel 2015 sono stata la prima in Italia a parlare sul palco di vendita GLOS, un convegno nazionale sulle fermentazioni, e continuo a parlarne tutt’oggi. Mi hanno spesso detto che sono stata un po’ troppo avanti rispetto ai tempi. Cioè ho anticipato talmente tanto che non rappresentava ancora un tema caldo. Se avessi parlato di fermentazioni nel 2019, invece che nel 2015, probabilmente avrei avuto più seguito.
Essere all’avanguardia sulla sostenibilità mi dà molta soddisfazione. Ciò vale anche per molte altre iniziative. A livello personale e amministrativo, ad esempio, otto anni fa ho introdotto lo smart working per la mia assistente, molto prima che se ne parlasse diffusamente. Ho anche donato una percentuale della mia società al mio direttore e al mio sous chef, con cui collaboro da 16 anni e mezzo e da 13 anni rispettivamente. Inoltre, da almeno sei anni, offro nella mia carta anche una degustazione vegetariana. Nel 2006 già chiedevo in sala se ci fossero allergie o se ci fosse qualcosa che il cliente non gradisse.
Alcuni mi dicevano che non si potesse fare una cosa del genere, ma io venivo dagli Stati Uniti dove era considerata pratica normale. Fornivo pane per celiaci dal forno di Rebenna e ancora oggi, chiunque con la celiachia può venire da me senza preavviso e trovare sempre a disposizione pane, pasta e altri piatti adatti. Sono in grado di gestire tutte le allergie, dal nichel al lattosio, ma non da oggi: ho sempre offerto questa opzione. Inoltre, ogni terzo giovedì del mese, offro uno sconto del 20% per tutti i ragazzi sotto i 25 anni, per avvicinare i giovani alla buona cucina e alla cucina italiana in generale.
5. Il suo impegno non si esplica solo nella cucina, ma si articola su più fronti, specie su insegnamento e formazione. Ci racconti un po’ di più dei libri di cui è autrice e dei progetti con cui ha l’obiettivo di migliorare e ampliare l’offerta formativa negli Istituti Alberghieri grazie alla Re.Na.I.A. – Rete Nazionale degli Istituti Alberghieri, a nome dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, di cui eri Presidente.
Ero presidente perché non voglio fare come i politici che si siedono sulla sedia per poi rimanerci per sempre. Ho pensato fosse giusto dare spazio a nuova linfa e quindi ho lasciato la presidenza. Tuttavia, sono ancora Ambasciatore del Gusto e faccio interventi per loro quando me lo chiedono e quando lo ritengo opportuno.
Ero responsabile di tre grandi progetti durante la mia permanenza, ma quelli di cui sono personalmente orgogliosa e responsabile sono due. Il primo si chiama “Adotta un produttore” e lo porto avanti ancora oggi. L’obiettivo è invitare i ristoratori a proteggere e adottare produttori locali, non solo educandoli sulla questione, ma anche acquistando e utilizzando i prodotti locali nei loro ristoranti, e supportandoli anche economicamente. È un progetto molto semplice ma efficace, che funziona anche all’estero. Il secondo progetto che ho portato avanti è stato uno studio scientifico sui fattori di stress nel mondo della ristorazione, il primo ad essere stato pubblicato in Italia con l’Ordine degli Psicologi del Lazio, organizzato grazie alla mia conoscenza indiretta degli ordini degli psicologi.
6. Il ruolo delle donne nella ristorazione è ancora sbilanciato rispetto a quello maschile. Tuttavia, lei negli anni, ha partecipato a programmi ed iniziative messe in atto da realtà come Action Aid o TedX, è stata addirittura nominata Ambasciatrice dall’Associazione Telefono Rosa, “Chef Donna dell’Anno” a Identità Golose 2013 e “Best Female Italian Chef in Europe 2018” di Love Italian Life. Come si impegna a rappresentare e a implementare un role model femminile alternativo? Ci racconti di più sui progetti e sulle iniziative a cui ha preso parte.
Spesso si pensa che le donne siano meno capaci o che abbiano meno resistenza fisica rispetto agli uomini. Ma la verità è che queste sono solo false convinzioni radicate nella cultura e nella società. Infatti, le donne hanno dimostrato di poter essere chef di successo e di avere una grande passione e determinazione per il loro lavoro. Quindi, per me è fondamentale lavorare con organizzazioni che promuovono l’uguaglianza di genere e la valorizzazione del talento femminile, e cercare di creare più opportunità per le donne nel mondo della ristorazione.
Purtroppo, le donne spesso sono sotto-rappresentate in molti ambiti, inclusa la cucina e l’industria alimentare in generale. È vero che ci sono state alcune donne chef e ristoratrici di successo, ma c’è ancora molta strada da fare per garantire che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini in questo campo.
Tuttavia, è importante sottolineare che la rappresentanza delle donne non sia solo di facciata, ma sia utile a valorizzare veramente il loro talento e la loro esperienza. È triste perché ho sperimentato questo tipo di atteggiamento anche sulla mia pelle. Alcune volte mi hanno proposto delle opportunità solo per il mio essere donna, ma spero che in futuro le donne siano valutate per i loro meriti e le loro abilità, e non solo perché “serve una donna”. In ogni caso, è importante che ci sia una maggiore consapevolezza di questi problemi e che si lavori per creare un ambiente più equo e inclusivo per le donne in cucina e in tutti gli ambiti della vita.
Spesso le vecchie generazioni, vedono la cucina come un mix tra professione e lavoro manuale. In realtà, l’arte culinaria è una professione a tutti gli effetti, particolarmente difficile, che richiede passione e determinazione. E personalmente, non potrei mai lavorare per qualcun altro, perché ho bisogno di essere libera di fare le mie scelte.
7. Un’ultima domanda prima di salutarci. Cosa consiglia alle donne che sognano di realizzare le loro passioni?
Il mio consiglio per le donne è quello di trovare la propria passione, quella cosa che fa scattare dentro, e spingere al massimo per realizzarla. Non si tratta solo di saper spadellare una buona amatriciana, ma di sviluppare e massimizzare la propria passione. Come un frutto ben fermentato, la nostra passione può raggiungere il massimo delle potenzialità. Tuttavia, dobbiamo essere sinceri con noi stessi e non ascoltare quello che dicono gli altri.
Non è possibile decidere la propria professione a tavolino, perché non si tratta di seguire una moda o di imparare una lingua che non ti interessa. È necessario trovare una passione e spingere fino in fondo, anche se ci sono difficoltà e sbagli da affrontare. Le esperienze che si fanno lungo il percorso sono preziose e ci permettono di crescere. Quindi, il mio consiglio è di mettersi due dita nelle orecchie, fare la lalalalala, e cercare di trovare la propria strada con passione e determinazione.
Grazie a Cristina Bowerman per il tempo dedicato alla Community di Feminility – Il lato positivo delle donne